Figli over 30: la perdita delle detrazioni non influenza lo status di familiare a carico

 

L’Agenzia delle entrate risponde ad un quesito posto da un sostituto d’imposta riguardo le modifiche introdotte dalla Legge di bilancio 2025 all’articolo 12 del TUIR in materia di detrazioni per carichi di famiglia (Agenzia delle entrate, risposta 15 settembre 2025, n. 243).

A partire dall’anno d’imposta 2025, la Legge di bilancio ha modificato le regole per le detrazioni per i figli a carico. In particolare, per effetto delle nuove disposizioni:

  • la detrazione massima di 950 euro per ciascun figlio si applica ora solo ai figli di età compresa tra i 21 e i 30 anni;
  • i figli che compiono 30 anni nel corso dell’anno perdono il diritto a questa specifica detrazione, a meno che non abbiano una disabilità riconosciuta ai sensi della Legge n. 104/1992. Per i figli con disabilità, la detrazione continua a spettare senza limiti di età.

Conseguentemente, il sostituto d’imposta (istante), avendo eliminato il beneficio dalle buste paga dei dipendenti con figli che hanno compiuto 30 anni, chiede all’Agenzia delle entrate se il compimento del 30° anno di età del figlio comporti la perdita automatica dello status di “familiare fiscalmente a carico”, indipendentemente dalla percezione o meno di un predeterminato reddito complessivo. Oppure se lo status in argomento potrà essere ritenuto ancora efficace, considerato che tale condizione consentirà ai genitori di poter beneficiare delle detrazioni e deduzioni per oneri e spese, sostenute nell’interesse del figlio, in sede di dichiarazione dei redditi.

 

L’Agenzia delle entrate fonda la sua soluzione interpretativa su una distinzione: la separazione tra il diritto alla specifica detrazione per figli a carico, come modificata dalla Legge di bilancio 2025, e la qualifica generale di “familiare fiscalmente a carico”, che rimane legata unicamente a un requisito reddituale.

 

Il comma 4-ter dell’articolo 12 del TUIR, introdotto dal D.L. n. 4/2022, stabilisce che “ai fini delle disposizioni fiscali che fanno riferimento alle persone indicate nel presente articolo, anche richiamando le condizioni ivi previste, i figli per i quali non spetta la detrazione ai sensi della lettera c) del comma 1 sono considerati al pari dei figli per i quali spetta tale detrazione”.
In base a questo principio, l’Agenzia conclude che la previsione del comma 4-ter può essere estesa anche ai figli di età pari o superiore ai 30 anni (senza disabilità accertata) per i quali, a seguito delle nuove norme, non spetta più la detrazione di 950 euro.

La perdita della detrazione specifica non implica la perdita automatica dello status di familiare a carico. Tale status è conservato a una condizione: il rispetto del requisito reddituale previsto dall’articolo 12, comma 2, del TUIR. Questo significa che il figlio deve possedere un reddito complessivo non superiore a 2.840,51 euro (al lordo degli oneri deducibili).

Poiché i figli di età superiore a 30 anni (con reddito idoneo) sono “considerati al pari di quelli per cui spetta la detrazione, ne consegue che il genitore conserva il diritto a beneficiare di altre agevolazioni.

Specificamente, citando un principio già espresso nella circolare n. 4/E/2022, l’Agenzia ribadisce che “continuano a spettare le detrazioni e le deduzioni previste per oneri e spese sostenute nell’interesse dei familiari fiscalmente a carico“.

 

Pertanto, in applicazione di tali principi, il genitore che ha sostenuto spese per figli fiscalmente a carico può fruire delle corrispondenti detrazioni (ai sensi del comma 2 dell’articolo 15 del TUIR) in sede di dichiarazione dei redditi, “anche se non spettano più le detrazioni indicate nel medesimo articolo 12”.

 

Nella circolare n. 4/E/2025 è stato, infine, precisato che, atteso che le detrazioni per carichi di famiglia sono rapportate al mese e competono per i mesi in cui sussistono le condizioni richieste, la detrazione di cui al novellato articolo 12, comma 1, lettera c), del TUIR spetta dal mese del compimento dei 21 anni di età del figlio fino al mese antecedente al compimento dei 30 anni.

 

Pertanto, nel caso di specie, il sostituto ha l’obbligo di indicare nella Certificazione Unica i dati dei familiari fiscalmente a carico, anche nel caso in cui non ci siano le condizioni per usufruire delle detrazioni per familiari a carico di cui all’articolo 12 del TUIR, per consentire la fruizione delle altre detrazioni per oneri e spese sostenute.

 

MIMIT: strategia e sostegno all’industria nazionale di cybersicurezza

 

L’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) ha approvato, con Decreto direttoriale prot. ACN 0320700, il Piano per l’industria cyber nazionale, previsto dalla Misura #51 del Piano di implementazione della Strategia Nazionale di Cybersicurezza 2022–2026 (Ministero delle imprese e del made in Italy, comunicato 12 settembre 2025).

Il Piano, frutto della collaborazione di ACN (Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale), MIMIT (Ministero delle Imprese e del Made in Italy), MAECI (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) e DTD (Dipartimento per la Trasformazione Digitale), rappresenta un documento strategico per il rafforzamento dell’ecosistema industriale nazionale della cybersicurezza. Definisce azioni, strumenti e fonti di finanziamento per sostenere l’innovazione, la crescita delle imprese e lo sviluppo di competenze nel settore cyber.

Il Piano si articola in tre assi principali:

  • supporto all’innovazione e alla collaborazione tra ricerca e industria (misure di riferimento nell’ambito della Strategia cyber #46,#47,#48, #49,#53);
  • sviluppo delle start-up e PMI (misure di riferimento nell’ambito della Strategia cyber #49, #54) anche nell’ottica dell’internazionalizzazione delle imprese italiane che offrono prodotti e servizi di cybersecurity (misure di riferimento nell’ambito della Strategia cyber #50);
  • sviluppo di nuove competenze professionali (misure di riferimento nell’ambito della Strategia cyber #59).

In particolare, l’asse 2 “Sviluppo delle start-up e PMI” si suddivide in:

 

Cyber Innovation Network – Componente industriale, per supportare le attività di validazione (dirette a verificare la fattibilità tecnica della soluzione innovativa proposta da una startup, l’interesse del mercato verso la soluzione e la sostenibilità del modello di business) e di sviluppo (consolidamento tecnico del prodotto/servizio di riferimento, alla crescita commerciale e scale up di mercato del progetto imprenditoriale).

 

Fondo Nazionale Innovazione/Fondo di sostegno al venture capital, che è il principale programma di intervento nazionale di venture capital finalizzato a sostenere la crescita delle imprese italiane innovative.

 

– Fondi cyber Digital Europe e Horizon Europe, per promuove la partecipazione dell’industria, dell’accademia, della ricerca e di altri enti del nostro Paese ai progetti europei finanziati dai programmi  Digital Europe e Horizon Europe.

 

– Sostegno all’Internazionalizzazione delle imprese italiane, per la promozione del sistema economico nazionale e il rafforzamento dell’intera filiera cybersecurity grazie all’accesso ai mercati internazionali.

 

Prima casa: il termine biennale per la vendita non preclude il diritto al credito d’imposta

 

Il tema dell’agevolazione “prima casa” e nello specifico la modifica normativa del termine per rivendere l’abitazione agevolata pre-posseduta e il diritto al credito d’imposta, sono i temi trattati dall’Agenzia delle entrate in una nuova risposta a interpello (Agenzia delle entrate, risposta 10 settembre 2025, n. 238).

L’Istante espone la seguente situazione:

– nel 2003, ha acquistato, insieme al futuro coniuge, un immobile per il 50% ciascuno, fruendo dell’agevolazione “prima casa” e versando un’imposta di registro del 3%, pari complessivamente a euro 1000.
– Nel 2011, il coniuge è deceduto. La sua quota del cinquanta per cento della “prima casa” è stata ereditata per metà dall’Istante e per l’altra metà dal figlio minorenne e fiscalmente a carico dell’Istante.

– Nel 2024, l’Istante ha acquistato una nuova “prima casa” in un altro comune, corrispondendo l’IVA con aliquota del 4%, impegnandosi a vendere la precedente abitazione entro un anno, termine che è stato successivamente esteso dalla Legge di bilancio 2025 a due anni dal nuovo acquisto, quindi entro il 2026.

Considerando quanto premesso, l’Istante chiede di poter recuperare in sede di dichiarazione dei redditi (730/2025 redditi 2024) il credito d’imposta per riacquisto prima casa non utilizzato nell’acquisto della nuova prima casa perché soggetta ad IVA», per un ammontare di euro 1000.

 

L’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al TUR, prevede l’applicazione dell’aliquota agevolata del 2% ai fini dell’imposta di registro per l’acquisto di case di abitazione (non categorie A/1, A/8 e A/9), purché ricorrano le condizioni della Nota II-bis.

Il comma 4-bis della Nota II-bis (introdotto dalla Legge di stabilità 2016 e modificato dalla Legge di bilancio 2025) consente di fruire delle agevolazioni “prima casa” anche se l’acquirente possiede già un’altra abitazione acquistata con la medesima agevolazione, a condizione che quest’ultima venga alienata entro due anni dalla data del nuovo acquisto.

Il nuovo termine di due anni per l’alienazione è applicabile anche agli acquisti per i quali il precedente termine di un anno era ancora pendente al 31 dicembre 2024.

 

Il credito d’imposta, invece, è disciplinato dall’articolo 7 della Legge n. 448/1998, che lo attribuisce ai contribuenti che acquisiscono un’altra “prima casa” entro un anno dall’alienazione del precedente immobile agevolato. L’ammontare del credito non può superare l’imposta di registro o l’IVA corrisposta in relazione al precedente acquisto agevolato, né l’imposta di registro o l’IVA dovuta per il nuovo acquisto agevolato.

Anche se tale articolo 7 prevede l’acquisto successivo all’alienazione, l’Amministrazione finanziaria ha riconosciuto l’applicabilità del credito d’imposta anche nella fattispecie inversa (nuovo acquisto che precede la vendita della precedente abitazione agevolata) a seguito dell’introduzione del comma 4-bis.

Il maggior termine di due anni per la rivendita (Legge di bilancio 2025) non pregiudica il diritto al credito d’imposta per il nuovo acquisto, a condizione che l’immobile preposseduto sia alienato entro tale termine.

La mancata alienazione dell’abitazione agevolata preposseduta entro i due anni comporta la decadenza dall’agevolazione “prima casa” fruita per il riacquisto e, di conseguenza, la perdita del diritto al credito d’imposta.

 

Il credito d’imposta può essere utilizzato in diminuzione delle imposte sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) dovute in base alla dichiarazione da presentare successivamente alla data del nuovo acquisto e non dà luogo a rimborsi. È un credito personale e compete al contribuente che abbia alienato un immobile da lui stesso acquistato con agevolazione “prima casa”.

Un soggetto che abbia alienato un’abitazione pervenutagli per donazione o successione, anche se originariamente acquistata dal donante o de cuius con le agevolazioni, non può avvalersi del beneficio.
Qualora l’immobile alienato o quello acquisito siano in comunione, il credito d’imposta deve essere imputato agli aventi diritto, rispettando la percentuale della comunione.

La data di acquisizione del credito, ai fini dell’imposta di registro, si individua nella data di stipula dell’atto relativo al nuovo acquisto agevolato.
Può essere utilizzato nella prima dichiarazione IRPEF successiva al nuovo acquisto o nella dichiarazione da presentare nell’anno in cui è stato effettuato il riacquisto.

 

Pertanto, nel caso di specie, l’Istante matura il diritto al credito d’imposta con l’acquisto agevolato del secondo immobile avvenuto nel 2024 e può utilizzarlo a condizione che l’immobile pre-posseduto sia alienato entro due anni dal nuovo acquisto agevolato (entro il 2026). La quota del figlio minorenne non rileva per il credito personale dell’Istante.

 

Il cambiamento del Codice ATECO 2025 non causa cessazione del CPB se l’attività rimane invariata

 

L’Agenzia delle entrate chiarisce se il cambiamento del codice ATECO dovuto all’aggiornamento ATECO 2025 causa la cessazione del Concordato Preventivo Biennale (Agenzia delle entrate, risposta 10 settembre 2025, n. 236).

L’Agenzia delle entrate esamina la situazione di un’azienda che opera come agente plurimandatario di commercio nel settore del noleggio di autoveicoli, fungendo da intermediario nella stipula di contratti di noleggio a lungo e breve termine e percependo commissioni. Poiché l’attività non era specificamente prevista nelle precedenti tabelle ATECO, l’istante utilizzava il codice ATECO generico 45.11.02 a cui era associato il modello ISA CM09U.

Con l’introduzione della nuova classificazione ATECO 2025, un nuovo codice più appropriato, il 77.51.00, è stato creato per la sua attività di intermediazione, al quale è associato il modello ISA EG61U.

L’istante sta valutando di aderire al Concordato Preventivo Biennale per i periodi d’imposta 2025 e 2026 e, dunque, il suo dubbio riguarda l’applicazione dell’articolo 21, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 13/2024, che prevede la cessazione del CPB se il contribuente modifica l’attività svolta nel corso del biennio concordatario rispetto a quella precedente.

 

L’Agenzia ricorda che l’articolo 21 del D.Lgs. n. 13/2024 stabilisce la cessazione del CPB se il contribuente modifica l’attività, ma non se per le nuove attività è previsto l’applicazione del medesimo ISA.
Già nella circolare n. 18/E/2024 e nelle FAQ del 28 maggio 2025, l’Agenzia chiarisce che il cambio del codice attività dovuto all’aggiornamento della classificazione ATECO 2025 non rileva ai fini della cessazione del CPB, anche se ne deriva l’applicazione di un diverso ISA, in quanto non è una modifica sostanziale dell’attività effettivamente esercitata.  Ne deriva che:

  • se l’attività nel biennio concordatario corrisponde a quella precedente, la cessazione non si verifica;
  • se l’attività viene modificata, ma l’ISA applicabile rimane il medesimo, la cessazione non si verifica;
  • la cessazione non si verifica per il cambio del codice attività dovuto all’aggiornamento ATECO 2025, anche se comporta un diverso ISA, perché non configura un cambiamento sostanziale dell’attività.

Inoltre, la risoluzione n. 24/E/2025 stabilisce che, a partire dal 1° aprile 2025, gli operatori devono utilizzare i nuovi codici ATECO negli atti e nelle dichiarazioni. L’adozione di ATECO 2025 non comporta obbligo di presentare dichiarazione di variazione dati immediata, ma va fatto alla prima dichiarazione di variazione o se richiesto da specifiche normative. Per le dichiarazioni IVA 2025, è consentito indicare sia i codici ATECO 2007 (aggiornamento 2022) che i nuovi ATECO 2025, con un’indicazione nella casella “Situazioni particolari”.

 

Pertanto, nel presupposto che l’attività effettivamente svolta non sia modificata, l’istante dovrà utilizzare, già a partire dal 1° aprile 2025 (data di entrata in vigore della nuova classificazione ATECO), il nuovo codice attività 77.51.00 (associato all’ISA EG61U). Il codice precedentemente utilizzato dall’istante (45.11.02, confluito nel 47.92.21, associato all’ISA DM09U) non dovrà essere usato. A differenza della dichiarazione annuale IVA 2025, per la dichiarazione annuale delle imposte sui redditi (Modello Unico 2025) relativa al periodo d’imposta 2024, che sarà presentata dopo il 1° aprile 2025, deve essere utilizzato il nuovo codice ATECO 77.51.00 (cui è associato l’ISA EG61U).

 

Auto aziendali elettriche: l’Agenzia chiarisce la tassazione delle ricariche presso colonnine pubbliche

 

L’Agenzia delle entrate si occupa di chiarire un dubbio sollevato da una società relativamente al trattamento fiscale delle auto elettriche o ibride concesse in uso promiscuo ai dipendenti e alle ricariche presso colonnine pubbliche, ai sensi dell’articolo 51, comma 4, lettera a), del TUIR (Agenzia delle entrate, risposta 10 settembre 2025, n. 237).

La Società intende rinnovare il proprio parco auto introducendo veicoli elettrici e ibridi plug-in. Attualmente, per i dirigenti che utilizzano auto a combustione in uso promiscuo, le spese di carburante per uso privato (entro un limite annuo) sono coperte dalla Società tramite una card e considerate esenti perché incluse nel valore convenzionale ACI già tassato. Se il limite viene superato, l’eccedenza è addebitata al dirigente tramite fattura.
Per evitare disparità e incentivare veicoli meno inquinanti, la Società vuole estendere le stesse condizioni ai dipendenti che scelgono auto elettriche o ibride plug-in. A questi dipendenti verrà fornita una card per la ricarica presso colonnine pubbliche, con addebito del costo alla Società. I dipendenti dovranno comunicare i chilometri aziendali per distinguere quelli privati. In caso di superamento di un limite annuo di chilometri privati, la Società addebiterà al dipendente, tramite fattura, l’importo del costo chilometrico dell’elettricità eccedente il limite, calcolato come costo totale del rifornimento diviso i chilometri percorsi nel periodo di riferimento.
La Società chiede di sapere se, in qualità di sostituto d’imposta:

– la card per la ricarica elettrica, anche per uso privato, non generi reddito tassabile per i dipendenti, poiché il valore della ricarica è già incluso nella determinazione forfetaria del benefit tassabile fissata dall’ACI;

– l’importo addebitato al dipendente per il superamento del limite di chilometri per uso privato possa essere decurtato dai valori convenzionali ACI ai fini dell’individuazione del valore del benefit tassabile.

 

L’Agenzia ribadisce che il reddito di lavoro dipendente è “onnicomprensivo” (articolo 51, comma 1, TUIR), includendo beni e servizi forniti dal datore di lavoro. Tuttavia, l’Articolo 51, comma 4, lettera a) introduce una deroga specifica per i veicoli in uso promiscuo, stabilendo una determinazione forfetaria del valore tassabile basata sui costi chilometrici ACI. La percentuale applicabile a tale valore varia a seconda della tipologia di alimentazione (50% per autoveicoli standard, 10% per veicoli elettrici puri, 20% per ibridi plug-in, per contratti dal 1° gennaio 2025, salvo specifiche eccezioni transitorie).

 

L’Agenzia chiarisce che la determinazione basata sulle tabelle ACI è totalmente forfetaria e prescinde dagli effettivi costi di utilizzo del mezzo e dalla percorrenza reale. È irrilevante che il dipendente sostenga a proprio carico alcuni elementi della base di commisurazione del costo ACI. Eventuali altri beni o servizi forniti (es. immobile per custodire il veicolo) devono essere valutati separatamente. Tuttavia, se il dipendente corrisponde delle somme per l’uso promiscuo del veicolo, queste devono essere sottratte dal valore presuntivo stabilito dal legislatore.

 

Nella risposta n. 421/2023, l’Agenzia aveva chiarito che nell’ipotesi in cui il datore di lavoro provveda al rimborso delle spese di energia elettrica sostenute dal dipendente per la ricarica effettuata, presso la propria abitazione, dell’autoveicolo concesso in uso promiscuo, detto rimborso concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente in quanto lo stesso non rientra tra i fringe benefit forniti dal datore di lavoro, ma costituisce un rimborso monetario di spese sostenute dal lavoratore.

 

Pertanto, riguardo al primo quesito sulla card per la ricarica elettrica, poiché le tabelle ACI considerano l’elettricità come “carburante” nel calcolo del costo chilometrico per i veicoli elettrici e ibridi plug-in, la fornitura di energia elettrica per la ricarica da parte del datore di lavoro (anche tramite card per colonnine pubbliche, entro un certo limite annuo) non genera reddito imponibile per il dipendente. Questo perché il costo è già considerato nella determinazione forfetaria del valore ACI, a prescindere dall’utilizzo aziendale o privato del veicolo

 

Riguardo al secondo quesito, sull’addebito al dipendente per il superamento del limite, l’Agenzia spiega che la determinazione del valore da assoggettare a tassazione è forfetaria e prescinde dai costi effettivi sostenuti dal dipendente. Di conseguenza, le somme addebitate al dipendente per l’energia elettrica utilizzata per l’uso privato del veicolo non possono essere portate in diminuzione del valore forfetario del veicolo determinato dalle tabelle ACI, e quindi non possono abbattere il valore del fringe benefit tassabile ai sensi dell’articolo 51, comma 4, lettera a), del Tuir. Tali somme, invece, dovranno essere trattenute dall’importo netto corrisposto in busta paga.